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Beati noi, umili pastori di Betlemme

Di Pietro Licciardi

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Nel Vangelo di Matteo (11, 25-30) Gesù benedice il Padre perché ha tenuto nascoste le Sue cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli, perché così a Lui è piaciuto, mentre sempre in Matteo (5, 3-10) è ancora Gesù a esaltare i poveri di spirito e i puri di cuore perché saranno loro a vedere Dio. E non c’è dubbio che Nostro Signore ci ha visto lungo. 

Non c’è infatti passaggio cruciale nella storia cristiana in cui i protagonisti non siano stati umili e semplici individui: dai pastori che per primi resero omaggio al Bambinello, alla giovane pulzella d’Orléans che restituì la Francia ai Valois salvandola probabilmente dall’apostasia luterana, ai pastorelli di Fatima e Lourdes, ai numerosissimi santi popolani.

Quando invece è toccato rivelare certe cose ai sapienti e agli intelligenti è mancato un soffio che accadesse un patatrac.

Prendiamo ad esempio il racconto dei tre Re Magi. Secondo la tradizione e da quanto è lecito supporre dalle fonti a disposizione doveva trattarsi di grandi “scienziati” provenienti dall’Oriente; forse dalla Persia, da Babilonia, o qualche altra terra ancora più lontana. Persone con una approfondita conoscenza degli astri – la scienza che a quei tempi andava ovunque per la maggiore – e animati da una grande curiosità. Insomma qualcosa di molto simile agli odierni astrofisici e astronomi, titolari di prestigiose cattedre universitarie o ben remunerate presidenze di famosi enti di ricerca.

I tre sapienti, arrivati a Gerusalemme al seguito della cometa, cosa fanno? Vanno dal re in carica, Erode, al quale rivolgono la domanda più stupida che potessero fare: scusa caro, sai mica dove possiamo trovare un re molto grande e potente, tanto da esser annunciato da uno straordinario segno del cielo, che dovrebbe esser nato proprio qui, nel tuo regno da qualche parte? 

E naturalmente Erode, che non era certo un sovrano modello amatissimo dal suo popolo, subito avrà pensato: questo mi vorrà sicuramente fare le scarpe. Così con falsissima premura risponde: buonuomini, non saprei, ma mi raccomando, quando lo trovate, tornate; così che anche io possa rendergli omaggio. E magari tagliare la testa a lui, a tutta la sua famiglia.

Eppure gli “scienziati”, i colti, i sapienti non solo non comprendono la colossale stupidaggine ma dopo aver reso omaggio alla Sacra Famiglia stanno pure per far ritorno a Gerusalemme per spifferare a Erode dove sguinzagliare le sue guardie se un provvidenziale sogno avesse dato loro una sveglia.

I tre così se ne ritornarono ai loro astrolabi e pergamene non senza però aver, sia pure involontariamente, causato una strage di innocenti e costretto il loro preannunciato Re all’esilio.

Ma quello che è accaduto coi Magi, accade ancora oggi, dove gli ultimi a capire, quando ci riescono, come va il mondo sono proprio loro: i colti e i sapienti. Ad esempio quegli intellettuali che dall’alto delle loro cattedre universitarie o dalle colonne di “prestigiose” pubblicazioni ancora cercano di accreditare solenni idiozie come quella secondo cui è il caso e non una volontà creatrice a regolare con straordinaria precisione e mirabile perfezione l’intero universo, dall’infinitamente grande, all’infinitamente piccolo. O quegli altri campioni di logica e coerenza, gli atei, secondo i quali veniamo dal nulla per tornare nel nulla. 

Noi invece ci pregiamo di essere come i pragmatici pastori di Betlemme, che davanti al mistero hanno creduto, per il semplice motivo che alla disperazione di una vita senza senso hanno preferito la concretezza di una speranza che si è fatta carne. 

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