di Costanza Miriano
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Nei giorni scorsi è stato annunciato ufficialmente il Giubileo delle persone Lgbt e delle loro famiglie; si è detto che la proposta di padre Piva aveva avuto il parere favorevole definitivo di Monsignor Fisichella e del Cardinale Zuppi, si è annunciata anche la data, il 6 settembre, e il luogo, la chiesa del Gesù a Roma.
A dire il vero della cosa non mi pare ci sia più traccia, o non ancora, nei programmi ufficiali, e quindi voglio ancora sperare che non sia vero. Credo che sia una grande ingiustizia che verrebbe perpetrata contro le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. L’ingiustizia non è permettere che quelle persone vadano a chiedere perdono a Dio, e a ottenere da lui la pienezza della misericordia e possano ricevere in dono una vita nuova, cosa che siamo chiamati invitati tutti a fare in questo anno santo.
L’ingiustizia è usare per loro la definizione di “lgbt+” dicendo una cosa falsa su di loro, e cioè che quella ferita che provoca in loro attrazione verso lo stesso sesso, non sia una FERITA ma la loro verità, la loro IDENTITA’. Questo li inchioderebbe al loro dolore, e a mettere il chiodo, a dare il colpo di martello sarebbero proprio alcuni uomini di Chiesa, cioè di quella madre che è (era?) rimasta l’unica a dire loro la verità su di loro.
Il Giubileo, al contrario, è proprio l’occasione che i battezzati hanno, ogni 25 anni, non solo di ricevere il perdono dei propri peccati, cosa a cui possiamo accedere attraverso la confessione, ma anche di ricevere l’indulgenza, cioè non solo il perdono ma anche la cancellazione delle conseguenze del peccato, la liberazione dalle catene che ogni peccato ci lega addosso, la risoluzione degli effetti di male che a livello personale e sociale ogni peccato comporta.
Il peccato infatti non è una cosa piacevole che un Dio sadico ci vorrebbe negare, come pensa chi non conosce Dio, cioè i non credenti ma evidentemente anche certi prelati. Il peccato è sbagliare mira. Si capisce meglio quando pensiamo a come viene usato nel linguaggio comune. “Peccato, mi si è bruciato il dolce”. “Peccato, avrei voluto vedere il film ma non lo fanno più”.
Ovviamente il peccato è molto, molto di più, ma nel linguaggio comune almeno c’è una debole traccia del fatto che il peccato è una fregatura che ti prendi, qualcosa che prima di tutto fa male a te, anche quando non a qualcun altro, perché offende il disegno di Dio su di noi, di quel Dio padre tenerissimo che vuole per noi il bene massimo, e che ci ha creati e pensati uomo o donna, fatti per entrare in una relazione sponsale con l’altro, relazione sponsale che anche i consacrati vivono, in modo diverso ma ugualmente in relazione, con il totalmente altro, cosa che non si può dire per chi vive relazioni omosessuali.
Se il Giubileo significa invitare queste persone a ricevere la cancellazione delle conseguenze del proprio peccato, è una notizia meravigliosa. Se il Giubileo lgbt invece significa cercare di affermare che una inclinazione definisce tutto il mistero e la ricchezza e la complessità che è ogni persona, allora è una notizia pessima. Significa inchiodare qualcuno a una condizione che non può definirlo tutto. Significa fare esattamente IL CONTRARIO di quello che un Giubileo ci invita a fare: invece che invitare a cambiare vita, significa invitare a rimanere nella vecchia.
Il paragone non regge, ma per rendere l’idea vorrei dire che è un po’ come istituire il “Giubileo dei depressi”, con la fondante differenza che la depressione non costituisce una occasione prossima di peccato, mentre l’attrazione verso lo stesso sesso se non vissuta castamente induce ad atti intrinsecamente disordinati, come afferma con nettezza il Catechismo della Chiesa Cattolica. Una Chiesa che è (era?) rimasta l’unica a dare una speranza e una direzione a chi ha una ferita simile.
“Chiunque, interrogato se desideri essere felice, risponde senza esitazione di desiderarlo perché questa è l’aspirazione propria dell’uomo” dice Agostino, uno dei Padri più citati dal libro Varcare la Porta, Il Giubileo secondo i Padri (a cura di Antonio Grappone) di cui consiglio la lettura perché ci chiarisce le idee fondandosi su ciò che abbiamo ricevuto dai padri nella fede, e ci prepara a non sprecare l’occasione che il prossimo anno ci regala, raccogliendo la sapienza dei Padri della Chiesa sul tema del pellegrinaggio, del perdono, dell’indulgenza, cioè sui temi fondanti del Giubileo, che ai tempi dei Padri della Chiesa ovviamente non era stato ancora istituito.
Insomma, tutti, dice Agostino, anche le persone che hanno una ferita nella loro affettività, desiderano la felicità. “Ma – prosegue – gli uomini ignorano per quale via raggiungerla o dove si trovi, e perciò vanno errando. … quando diventiamo fedeli aderendo con la fede al Cristo, cominciamo a camminare sulla via, ed esortiamo tutti quelli che ci sono più cari”.
Non avvenga che proprio i pastori smettano di esortare, “non mirando più alla patria”. Quella è la vera grande esclusione che infliggerebbero a chi soffre. Incoraggiarlo a rimanere dentro una bugia, a qualcosa che non è la verità su di sé.
* Da Facebook