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Il 4 Ottobre ricorrono 350 anni dalla morte del pittore e incisore olandese amante della luce, delle tenebre e del mistero: Rembrandtvan Rijn (1606-1669).

Di Rembrandt − il suo nome di battesimo nonché la sua firma − può essere molto avvincente anche il lato musicale. In qualche suo dipinto egli si ritrae in vesti di cantante, flautista e forse anche di arpista. Numerosi sono i suoi contatti con i maggiori organisti e compositori del suo tempo come l’olandese J. P. Sweelinck. Elementi musicali figurano spesso nelle sue opere e alcuni sono proprio quadri di raffigurazione musicale.

Due in particolare, Davide che suona l’arpa davanti a Saul (1629) e Saul e Davide (1665), hanno lo stesso soggetto e si riferiscono all’episodio narrato nel primo libro di Samuele 16,14-23 e in 18, 10-11. L’arpa di Davide, il futuro «soave salmista d’Israele» (2Sam 23,1), calma «lo spirito cattivo» di Saul, primo re degli Israeliti, e lo trasforma in un altro uomo. Così come il canto gregoriano, additato dalla Chiesa Madre e Maestra come proprio della sua liturgia, è musica che discende dal Cielo e può infondere gioia e speranza nel cuore. Il Saul del primo dipinto è «fero, impaziente, torbido, adirato» (V. Alfieri, Saul, Atto II, Scena I), quello del secondo, cupamente assorto nella sua ossessione.

Oltre che grandissimo pittore, Rembrandt è stato un abilissimo incisore; celebre, tra i suoi oltre mille fogli, Le tre croci, un’incisione su rame a puntasecca (fatta direttamente sulla lastra) risalente al 1653. Frank Martin (1890-1974), uno dei principali compositori svizzeri del secolo scorso,si imbatté in quella splendida acquaforte:

Nella primavera del 1945, una mostra nel nostro Museo delle Belle Arti ci ha permesso di ammirare una meravigliosa collezione di acqueforti di Rembrandt. Tra tanti capolavori, sono stato particolarmente… colpito da tre stampe, tre «impressioni», molto diverse tra loro, di una visione del Calvario, dal titolo Le tre croci. (…) Da quel momento, sono stato perseguitato dall’idea di realizzare, con i miei mezzi, un’immagine della Passione. Ma, da un lato, la grandezza del soggetto mi ha fatto dubitare delle mie possibilità, dall’altro non sapevo in quale forma concreta realizzare questo obiettivo. Mi sarebbe piaciuto poter concentrare tutto questo dramma, terribile e magnifico, in un lavoro molto breve, come Rembrandt aveva fatto nel suo modesto rettangolo di carta (Frank Martin, A propos de… Commentaires de Frank Martin sur ses œuvres, Neuchâtel, La Baconnière, 1984, p. 70).

Nasce così nell’immediato dopo guerra, tra il 1945 e il 1948, ritenendo presto inadeguata una forma troppo breve, un grandioso affresco musicale: Golgotha, oratorio in due parti per soli, coro misto, orchestra ed organo.

Piuttosto che raccontare il martirio e la morte di Gesù, come accade, ad esempio, in quei capolavori di J. S. Bach che sono le 2 Passioni, Martin intende far rivivere il dramma e concentrare tutta l’attenzione sulla figura di Cristo, proprio come avviene nell’acquaforte di Rembrandt. Gli interlocutori di Cristo sono infatti soltanto il Sommo Sacerdote e Pilato.

I testi in francese sono brani dei Vangeli ai quali si alternano i commenti tratti da alcune Meditazioni di S. Agostino. L’oratorio si divide in due parti, ognuna della durata di circa 45 minuti, che rievocano gli eventi compresi fra l’ingresso trionfale di Cristo a Gerusalemme e la sua Resurrezione. Oltre al ruolo principale di Gesù, baritono, vi sono parti solistiche di soprano, contralto, tenore e basso.

La prima parte inizia con il coro che, con forza e intensità, canta: «Padre! Fino a che punto ci hai amato?».

Poi Gesù entra città santa ed è acclamato dalle folle di Gerusalemme. Dopo l’Osanna dei quattro solisti e del coro sentiamo Gesù per la prima volta: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò?». Questo secondo quadro si chiude con un bellissimo coro, dolce e cantabile in partitura, che canta un testo di sant’Agostino: «Fino a che punto, adorabile Salvatore, unico figlio di Dio, fino a che punto la tua umiltà ti fa scendere?».

Nel quadro seguente Gesù insegna nel Tempio e denuncia scribi e farisei ipocriti. «Quando sarò abbastanza felice da vedere quel giorno benedetto, da vedere le tue adorabili bellezze? Quando verrai da me, mia unica consolazione?», chiosa il soprano secondo la parola del Vescovo di Ippona.

Poi L’ultima cena conclude la prima parte con la scena del Getsèmani. Tace il coro qui; contralto e tenore soli, come narratori, eseguono piccole frasi alternandosi a brevi interventi di Gesù. Alla fine del quadro, dopo l’arresto di Gesù, il coro canta un altro frammento agostiniano: «Ecco l’Agnello divino chei peccatori portano via».

La seconda parte si apre con il contralto solo che esprime la sofferenza dell’anima abbandonata; alle sue domande risponde consolante il coro con le parole del Salmo 121 (120): «Alzo gli occhi verso i monti (…) Il mio aiuto viene dal Signore».

Il quadro seguente raffigura Gesù davanti al tribunale ebraico. Alla condanna da parte del Sommo Sacerdote segue un momento molto toccante per coro femminile, con assoli di soprano e contralto, ancora dagli scritti del più grande Padre della Chiesa latina: «Divino Salvatore, come ti hanno potuto giudicare meritevole di un trattamento cosi severo?».

La scena che segue, Gesù davanti a Pilato, si conclude con il coro, in partitura sordo e violento, che grida: «Crocifiggilo!».

Segue il quadro del Calvario, in cui le voci gravi del coro, alternandosi alle poche parole di Cristo, raccontano la crocifissione di Gesù secondo san Giovanni. Alle ultime parole del Redentore, «È compiuto!», il coro senza soprani canta: «E, chinato il capo, consegnò lo spirito». Un assolo di tenore ci porta verso il coro finale dell’oratorio, un fortissimo: «Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?».

Il finale, dalla scrittura vocale piuttosto elaborata, prorompe nella gioia della Resurrezione: una conclusione commovente a un lavoro chiaramente scritto con tanto ardore e fede profonda.

Massimo Scapin

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