“Il Tar del Lazio ha respinto con una sentenza il ricorso proposto dalla nostra associazione contro il diniego da parte del Comune di Roma all’affissione di 500 cartelloni che ritraevano l’immagine di un feto. La motivazione del Tar? Per ‘lo smodato impatto emotivo’ e perché sarebbero stati superati i ‘limiti di violenza semantica’. Ora giudicate voi se c’e’ violenza nelle nostre frasi sull’embrione: TU ERI COSI’ A 11 SETTIMANE, TUTTI I TUOI ORGANI ERANO PRESENTI, GIA’ TI SUCCHIAVI IL POLLICE. E poi domandiamoci perché un bambino nella pancia oggi scandalizzi più di certe foto volgari e piene di nudità o dell’invito al consumo di marijuana che si incontrano per strada alzando gli occhi agli spazi pubblicitari”.
Questo lo sfogo di Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente di Pro Vita, diventata oggi Pro Vita & Famiglia, e autori della campagna pubblicitaria che provocò prima le polemiche e poi il divieto di affissione da parte del Comune di Roma che è stato giudicato legittimo.
“In pratica la sentenza afferma che il Comune ha il diritto di regolamentare i messaggi che appaiono sugli impianti di sua proprietà e che il messaggio di Michelino, come abbiamo chiamato il bambino rappresentato nelle immagini, supera i limiti della sensibilità comune. Allora perché non vale lo stesso per gli spot dell’Agenzia di Pompe Funebri Taffo? Non contengono anch’essi una certa ‘violenza del messaggio’ scherzando sulla morte nostra e dei nostri cari? Ci aspettiamo che il sindaco di Roma Virginia Raggi intervenga su tutti i manifesti provocatori”.
Brandi e Coghe, presidente e vice presidente di Pro Vita, diventata oggi Pro Vita & Famiglia, autori della campagna pubblicitaria e organizzatori del Congresso Mondiale delle Famiglie dello scorso marzo (tenutosi nei locali della Gran Guardia di Verona), hanno concluso il loro intervento annunciando che i legali della principale associazione italiana pro-life “stanno ora valutando di ricorrere al Consiglio di Stato”.