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Vorrei entrare un pochino meglio nella questione del ruolo dell’organista nella liturgia. Purtroppo il panorama a cui assistiamo ci presenta due tipologie di organisti che potrebbero essere riassunte con il motto: chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane. Da una parte organisti che magari sono sensibili al rito liturgico ma sono carenti dal lato musicale; dall’altro quelli preparati sul lato musicale ma poco sensibili alle esigenze della liturgia. Ci sono anche coloro che hanno “denti e pane”, ma non sono la maggioranza. Questo crea naturalmente dei problemi ovvi, spesso non sopperiti anche dalle istituzioni ecclesiastiche ufficiali, come le conferenze episcopali. Ho sentito, anche con le mie orecchie, che gli organisti (dopo decenni di studi e ingenti spese sostenute per la propria preparazione) dovrebbero accettare di svolgere il proprio servizio gratuitamente, insomma “gratis et amore cei” (scusate il gioco di parole). Purtroppo è proprio questa mentalità che porta ad un abbassamento del livello musicale che negli ultimi decenni ha avuto dello spaventoso.
 
Io presento sempre l’esperienza del mondo anglosassone, dove c’è una maggiore attenzione al professionalismo e al suo riconoscimento. In effetti, programmi musicali di tutto rispetto si trovano lì, non più dalle nostre parti.
 
Ripeto, anche per non mettere il peso tutto da una parte, che gli organisti hanno le loro colpe, spesso si sono chiusi nel loro “piccolo mondo antico”. Eppure lo spazio per l’organo sarebbe sempre importante, un’organista veramente preparato e supportato nei suoi sforzi formativi e professionali sarebbe un valore aggiunto per ogni comunità celebrante.
 
Ripeto, bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. I torti non sono stati solo da un lato, anche se purtroppo da quel lato i torti sono stati devastanti.
 
Aurelio Porfiri

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