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Come detto in precedenza, il segno della pace non prevede un canto a se stante. Quindi accade spesso che si canti l’Agnello di Dio durante questo momento, ma questo è un errore, in quanto l’Agnello di Dio va cantato durante la Fractio Panis. Vediamo cosa dice l’OGMR: “Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l’aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10, 17). La frazione del pane ha inizio dopo lo scambio di pace e deve essere compiuta con il necessario rispetto, senza però che si protragga oltre il tempo dovuto e le si attribuisca esagerata importanza. Questo rito è riservato al sacerdote e al diacono. Il sacerdote spezza il pane e mette una parte dell’ostia nel calice, per significare l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso. Abitualmente l’invocazione Agnello di Dio viene cantata dalla schola o dal cantore, con la risposta del popolo, oppure la si dice almeno ad alta voce. L’invocazione accompagna la frazione del pane, perciò la si può ripetere tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito. L’ultima invocazione termina con le parole dona a noi la pace”.
 
Come si vede, questo canto può essere ripetuto tante volte quanto necessario e si conclude sempre con l’ultima invocazione. Nulla toglie che il canto possa essere eseguito dalla sola schola in polifonia, o in un misto di polifonia e gregoriano o polifonia e risposta del popolo. A volte si ha l’impressione che questo momento sia banalizzato dalla sua semplice recitazione o dal canto sciatto di formule trite e ritrite.
 
Esiste sempre il problema della versione in italiano che non è fedele all’origjnale latino. Così rispondeva su Famiglia Cristiana il liturgista Silvano Sirboni: “Il canto dell’Agnello di Dio è stato inserito nella Messa dal papa Sergio I (687-701) sul modello delle liturgie orientali che da tempo accompagnavano la frazione del pane con canti che evocavano la passione e la morte di Gesù. In essi si faceva sovente riferimento all’agnello, immagine del corpo di Cristo offerto per tutti sulla croce. Le parole di questo canto sono quelle con le quali Giovanni Battista indica Gesù (cfr. Gv 1, 29). Sia nel testo greco sia in quello latino il verbo usato significa togliere così come portare su di sé. Una ricca e legittima ambiguità che non poteva essere riprodotta anche in italiano. Si è così preferito mantenere l’interpretazione precedente sia per quanto riguarda il testo biblico sia quello liturgico, come del resto anche in altre lingue. Si è voluto evidenziare l’effetto del sacrificio di Cristo su di noi”. Insomma, si è fatta una scelta ma tenendo presente che il signficato di “tollis” ha più dimensioni che semplicemente “togliere”.
 
Alcuni hanno l’uso di continuare il suono dell’organo dopo l’Agnello di Dio per congiungerlo alla comunione mentre il sacerdote recita l’Ecce Agnus Dei. Personalmente non vedrei del male in questo uso ma l’OGMR prescrive che all’inizio della comunione si preghi in silenzio.
 
Aurelio Porfiri
Un pensiero su “USI e ABUSI di Aurelio Porfiri – Agnello di Dio, che togli i peccati o che li porti su di te?”
  1. Per quanto riguarda l’ultimo capoverso, oltre che per pregare in silenzio subito prima della comunione, è comunque errato continuare a suonare dopo l’Agnello di Dio, poiché a quel punto il sacerdote pronunzia le parole “Beati gli invitati…” e il suono dell’organo non deve coprirle, né fare da sottofondo.

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