Parlando dell’Alleluia, riprendendo quanto detto in precedenza, non posso fare a meno di riflettere su una delle idee che più circolano nelle nostre liturgie e che io, e non solo io, trovo profondamente errata. Questa idea pretenderebbe che nella Messa dobbiamo proporre canti che siamo allegri, che ci facciano zampettare sulle panche in preda ad un raptus dionisiaco. L’Alleluia è, più di altri momenti, vittima di questo equivoco. Un equivoco grave, non cosa da niente.
Il filosofo e teologo Enrico Zoffoli, morto 20 anni fa, ci insegnava che la Messa è il memoriale della Passione, Morte e Resurrezione di Nostro Signore, ma che in essa il Sacrificio, la Passione e Morte, ha un ruolo centrale. In fondo questo è uno smottamento che anche si spiega con l’enfasi sul convivio piuttosto che sul Sacrificio, il principio è lo stesso: “Indubbiamente, come tenterò di spiegare, il rito eucaristico, specie in quanto “cena”, “convito”, “comunione”, è celebrazione di tal mistero. Ma la verità oggettiva del rito autorizza ed anzi esige che si salvi a tutti i costi quel suo aspetto fondamentale in cui la s. Scrittura, i Padri, i Concili e la coscienza cristiana universale hanno sempre riconosciuto il “sacrificio” stesso del Calvario” (E. Zoffoli, Perché la Messa, pag. 57). Insomma, il Sacrificio della Messa ci porta prima di tutto sul Calvario.
Ho dovuto subire per anni suorine invasate di “spirito santo” che urlavano “Cristo è risorto!” ad ogni piè sospinto, pure al momento della consacrazione. Purtroppo la musica nella liturgia si è accodata a questo aspetto conviviale tralasciando quello sacrificale. Insomma, Risurrezione certo, ma come frutto del Calvario.
Aurelio Porfiri