L’offertorio dunque, per via di interpretazioni che ne snaturano la sua essenza e il suo significato, può prestarsi a deviazioni. Vediamo ancora cosa ci continua a dire l’OGMR su questo momento del rito: “74. Il canto all’offertorio (Cf. n. 37, b) accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto d’ingresso (Cfr. n. 48). È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la processione con i doni. 75. Il sacerdote depone il pane e il vino sull’altare pronunciando le formule prescritte; egli può incensare i doni posti sull’altare, quindi la croce e lo stesso altare, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio.
Dopo l’incensazione dei doni e dell’altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro. 76. Quindi il sacerdote si lava le mani a lato dell’altare; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore”. Abbiamo un primo problema proprio riguardo al canto per l’offertorio. Qui si dice che il canto può essere eseguito come quello per l’introito, ma in questo caso, quello dell’offertorio, il messale non riporta un testo per l’antifona. Mentre lo abbiamo per l’introito e la comunione, non l’abbiamo per l’offertorio. Io ho anche chiesto agli organi competenti come mai il testo per questa antifona non è stato ancora fornito, e le risposte sono state spesso vaghe, dicendo che era questione di tempo ma intanto sono passati anni, amzi decenni. Ora, è pur vero che pochissimi si curano pure delle antifone di ingresso e di comunione, pur esistenti, ma in questo modo non si fa che aggiungere difficoltà a difficoltà.
La diocesi di Udine, in suo sussidio, così descriveva questo canto: “Da questo, riguardo alla funzione, si deduce che al pari di quello d’ingresso e di quello di comunione, il canto è destinato ad accompagnare un movimento processionale; pertanto esso dovrà semplicemente accompagnare la processione dei doni, la loro deposizione sulla mensa da parte del sacerdote presidente e l’eventuale incensazione degli stessi, dell’altare, della croce, del presidente e dell’assemblea”. Importante tenere conto di questa caratteristica quando si parla di questo canto. Poi prosegue: “Per quanto riguarda i contenuti, invece, si osserva che la tradizione riporta testi tratti dal Salterio o comunque dalla Scrittura; sorprendentemente, però, essi non hanno quasi mai relazione con la tematica “offertoriale” o eucaristica.
Le antifone tradizionali si riferivano o al tempo liturgico o alla solennità o indicavano l’atteggiamento dell’esultanza che contraddistingue coloro che portano i doni”. In effetti, per cercare di ovviare ad una evidente mancanza che si trascina da decenni e che viene spesso sostituita da canti di dubbia efficacia e di dubbia pertinenza liturgica, una buona soluzione è proprio quella di rifarsi ai repertori testuali tradizionali.
Aurelio Porfiri