I riti offertoriali hanno risentito più di altre parti della Messa di una certa crisi di identità. Che ne è, per esempio, dell’antifona di offertorio? Mentre abbiamo le antifone per l’ingresso e la comunione, non abbiamo un testo per l’antifona di offertorio. Ma poi, in fondo, a che servirebbe visto che oramai le antifone sono proprio state messe da parte in toto?
Vediamo cosa dice l’OGMR: “73. All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice, se non viene preparato alla credenza. Poi si portano le offerte: è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, li riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull’altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale.
Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica”. Ecco, questo “si possono” introduce lo stile tipico di questi documenti, in cui si lascia aperta una feritoia per fare in modo che il prepotente con una spallata butti giù tutto. E infatti che cosa non abbiamo visto portare al momento della processione offertoriale? In questo caso non si adatta il proverbio “a caval donato, non si guarda in bocca”, perché non si può fare a meno di notare i doni più insulsi che danno proprio il senso di come la liturgia sia veramente poco capita nella sua dignità profonda.
Si dice chiaramente che questi doni dovrebbero essere deposti fuori dalla mensa eucaristica, ma spesso vediamo il sacerdote all’altare al momento della consacrazione e non possiamo fare a meno di notare il pallone portato come dono dell’offertorio o qualche altra stramberia inventata da catechisti in vena di creatività spinta.
Aurelio Porfiri