Arrivato il momento dell’inizio della Messa, notiamo subito se si è curata l’amplificazione. Ora, questo non è certamente un elemento fondamentale della Messa. Citavamo con leggera sorpresa questo passaggio dell’ufficio liturgico della diocesi di Torino preso da un intervento sulle monizioni del celebrante: “Ci sembra molto più efficace favorire l”ascolto dell”assemblea attraverso la formazione dei lettori, la cura dei giusti tempi di silenzio, la valorizzazione del salmo responsoriale, la qualità dell”impianto di amplificazione”. Ora, per me ci dovrebbe essere una differenziazione fra la cura di momenti rituali e fattori che sono anche importanti ma non essenziali al rito. Ma capisco questa segnalazione da parte dell’ufficio liturgico.
In effetti, interrompere il rito con “mi sentite bene?” o con due tre colpettini sul microfono non è proprio il massimo. Ma la vera tragedia spesso si raggiunge con l’amplificazione del “complessino” che malauguratamente anima la Messa, dove quello che si ottiene di solito è un suono vago e indistinto di chitarra, una voce stra- amplificata ed un ambiguo mormorio di altre voci in sottofondo. Questo denota una scarsa cura della funzione dell’amplificazione, come del resto del canto nella liturgia.
Ora, si sarebbe stupidi nel non riconoscere che le nuove tecnologie possono apportare un aiuto importante all’efficacia pastorale della celebrazione, ma vanno usate bene e con accortezza, evitando l’invadenza e i “falsi messaggi culturali” che possono provenire dal sacerdote con il microfono in mano che tende a somigliare a Pippo Baudo che all’alter Christus.
Il coro – perché ci deve essere un coro, non il complessino beat – deve essere amplificato in modo che il suo insieme armonico possa essere percepito chiaramente da tutti. Ci vuole perizia da parte di chi gestisce l’amplificazione, sempre non dimenticando che l’importanza di quello che si compie nel rito non si può ridurre ai mezzi che ne favoriscono la fruizione. Quello che intendo dire, è che una buona amplificazione è quella che non si vede, che è discreta, che non si percepisce. Anche qui, dobbiamo proteggerci dall’invadenza del rumore per riscoprire la sana pedagogia di suono e silenzio.
Aurelio Porfiri