Dopo la preghiera eucaristica entriamo nei riti di comunione, momenti dove gli abusi si fanno anche molto insidiosi. I riti di comunione hanno inizio con la preghiera del Padre Nostro.
Ecco cosa dice l’OGMR: “Nella Preghiera del Signore si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono un particolare riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dai peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi. Il sacerdote rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l’embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L’embolismo, sviluppando l’ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male. L’invito, la preghiera del Signore, l’embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l’embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce”.
Nella forma straordinaria il Pater Noster viene cantato dal solo sacerdote mentre il popolo si unisce nella frase finale. Nella forma ordinaria viene incoraggiata la recitazione o il canto comunitario. Ritengo sia bene usare la melodia gregoriana, o stilizzata su quella gregoriana. Nella lingua italiana abbiamo altre versioni su questo testo, ma tendono ad essere smielate, come del resto non infima parte della produzione recente per la liturgia.
Nel canto si rispettino le 7 petizioni in cui è divisa la preghiera con opportune pause (una lezione che mi inculcò il Cardinale Virgilio Noé ai tempi in cui lui era Arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano e io uno degli organisti): “Sia santificato il tuo nome…venga il tuo regno…sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra…dacci oggi il nostro pane quotidiano….rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori….e non ci indurre in tentazione… ma liberaci dal male”. Non mi soffermo ora sui problemi di traduzione della sesta petizione, problemi che hanno impegnato recentemente dal Papa in giù. Ma credo che una esecuzione ordinata e ben divisa arricchisca la comprensione della preghiera. Quindi l’organista e il maestro sappiano opportunamente staccare da una petizione all’altra.
Il fatto di tenersi per mano è una abuso, derivante da una concezione protestante della liturgia in cui al centro c’è il senso comunitario più che quello del sacrificio. Abuso che viene rafforzato dal sacerdote che se ne scende “in mezzo ai fedeli”, quando il suo ruolo dovrebbe ben essere definito in altro senso come mediatore, non come compagno di viaggio in senso stretto.
Anche allargare le braccia nella posizione dell’orante, come suggerisce il liturgista Henry Vargas Holguín, è scorretto, in quanto ci soni gesti che sono riservati al sacerdote e tali devono rimanere. Purtroppo alcuni sacerdoti, come detto sopra, contribuiscono ad acuire questa confusione.
Aurelio Porfiri