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di Davide Romano

C’è una verità antica come il mondo, quasi scolpita nel marmo di Delfi, che Montanelli stesso avrebbe sottoscritto: il conflitto tra virtù e vizi nella politica non è un’anomalia, ma una costante. Come scriveva Niccolò Machiavelli nel suo Principe, “un uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene che rovini infra tanti che non sono buoni”. Ed è forse per questo che il vizio del potere riesce sempre, in un modo o nell’altro, a prevalere sulla virtù del governo.

Prendiamo la Sicilia, terra che ha regalato al mondo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, romanzo che ci ricorda quanto spesso il cambiamento sia solo apparente: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” E così, anche oggi, tra bilanci rassettati, assunzioni finalmente sbloccate e un piano di ammodernamento delle strutture sanitarie, si intravede un progresso. Ma dietro ogni annuncio di virtù si cela il prezzo del compromesso: cento milioni spartiti tra i deputati regionali, sagre e festicciole comprese. La Sicilia, come ci dice il Sole 24 Ore, resta in fondo alle classifiche della qualità della vita.

A Roma, la situazione non è diversa. Il governo Meloni, solido come una quercia ma scosso dai venti delle polemiche, si destreggia tra riforme popolari – il taglio del cuneo fiscale e il bonus natalità – e i soliti inciampi: le dichiarazioni di Nordio, le vicende giudiziarie di Santanché, e l’eco di un passato che non smette di farsi sentire. Come direbbe Flaiano, “la situazione è grave, ma non è seria.”

Intanto, cresce il partito del non voto. Nando Pagnoncelli, nel suo consueto bollettino su Il Corriere della Sera, registra una stagnazione nei consensi. L’unico vero vincitore? Quel 0,5% in più del “partito del non voto,” che sembra gridare con forza: “Per chi ci credevamo di votare?”

E nel mondo? Trump torna alla Casa Bianca e si riaffaccia l’incubo di nuovi muri, mentre in Europa si iniziano, finalmente, a sollevare i primi “non possiamo accoglierli tutti.” Ma come scriveva Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo, “il problema con le profezie è che si avverano solo quando è troppo tardi per trarne beneficio.”

Ma non tutto è perduto. Il 2025, anno giubilare della Speranza, si affaccia con le parole di Papa Francesco che, all’ultimo Angelus, ci ha invitato a pregare per le famiglie che soffrono a causa delle guerre. “È ipocrita parlare di pace e armare la guerra,” ha detto il Pontefice in un’intervista recente. Forse, una volta tanto, potremmo tentare di fare qualcosa di diverso: mettere la virtù del governo sopra il vizio del potere.

Buon anno, dunque. E che il nuovo non sia semplicemente l’ennesima ripetizione dell’antico.

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